Perchè un neonato dorme solo in braccio? Come fare addormentare un neonato? Vizio o pregiudizio? Tutto quello che c’è da sapere e come

Perchè un neonato dorme solo in braccio? Come fare addormentare un neonato? Vizio o pregiudizio? Tutto quello che c’è da sapere e come comportarsi.

Perchè un neonato dorme solo in braccio? Come fare addormentare un neonato? Vizio o pregiudizio? Tutto quello che c’è da sapere e come comportarsi.

«Il mio bambino vuole sempre stare in braccio!»
«Si addormenta solo in braccio a me, ma appena lo metto giù si sveglia e piange»
«Temo che prenda il vizio e non riesca più a staccarlo da me quando dovrò tornare a lavoro! »

Affermazioni di questo tipo sono molto frequenti tra i genitori e spesso sono espressioni di disagio e fatica di fronte al figlio che esige contatto costante. Ma questi bambini sono davvero così “stranamente” esigenti? E se i bambini che esigono di stare in braccio in contatto con la mamma avessero un comportamento del tutto fisiologico?


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E’ tutta una questione di biologia

Secondo la biologia comportamentale il cucciolo d’uomo è un “portato attivo”, che alla nascita dispone di istinti, riflessi e comportamenti che lo predispongono a stare sul corpo dei genitori e a essere portato da loro.

Alla nascita lo sviluppo del bambino non è ancora completo e il bebè è totalmente dipendente dalla mamma per la soddisfazione dei suoi bisogni primari.

Rispetto ad altri mammiferi, potremmo dire che il cucciolo dell’essere umano deve ancora compiere una esogestazione, cioè un periodo gestazionale fuori dalla pancia: assomiglia, per intenderci, un po’ a un canguro, che ha bisogno di essere trasportato nel marsupio dalla mamma fino a che non sarà pronto per camminare e balzare da solo, mentre viceversa un puledro, già un’ora dopo il parto, è in grado di alzarsi e trotterellare a una certa distanza.

Un bambino impiega circa un anno dopo il parto per arrivare a essere quasi autonomo, anche se sarà fortemente dipendente dal genitore ancora per diversi anni.

Soprattutto nei primi tre/quattro mesi dopo il parto, il bimbo vive una profonda simbiosi con la mamma: ritrovare il battito del suo cuore e la voce che conosceva fin dalla pancia lo calma e rassicura, come anche poter percepire il movimento materno già sperimentato in utero.

Inoltre è lei che si occupa maggiormente del nutrimento e dell’accudimento, rendendo riconoscibile e fissando nella memoria del bebé il proprio odore e il proprio tocco.

Praticamente la mamma è il terreno su cui e attraverso cui si svolge tutta la vita del bebé e lui è biologicamente programmato per rendersi conto di quando questa “terraferma” viene meno: quando manca il suo tocco, il suo profumo, il battito del cuore, il bebé si rende velocemente conto di esser da solo e, per questo motivo, potenzialmente in pericolo.

Noi ovviamente sappiamo che non stiamo abbandonando il bebé, ma un neonato che è in vita da pochi mesi non ha né l’esperienza né la cognizione tale da comprendere che, nel momento in cui la mamma lo lascia, in realtà non accade nulla e si trova sempre in una casa sicura.

Allo stesso modo, però (e questo è il fatto positivo!), fino a circa un anno di età il neonato non ha ancora la cognizione tale per “essere viziato”, cioè non si è ancora stabilizzato il rapporto tra causa-effetto, soprattutto se intendiamo quello volto alla socializzazione e alla manipolazione delle persone.

In generale, bisogna anche riconsiderare cosa intendiamo per “vizio”: si può viziare un bambino rispondendo ai suoi bisogni fisiologici? Si può viziare un bambino donandogli il nostro amore?

Quando la biologia non va di pari passo con le norme culturali: oddio lo starò viziando?

Eccolo, è nato! Lo hai immaginato per mesi e adesso lo stringi tra le braccia. Le giornate e le nottate non sono più le stesse, tutto cambia e i dubbi arrivano presto. Non era proprio come lo avevi immaginato, diciamocelo.

Seppure vi sentivate pronti, ci sono cose che non avevate previsto.

In poco tempo i neogenitori sono catapultati in un mondo fatto di gioie, ma anche di consigli non richiesti e di pregiudizi legati alle scelte di accudimento dei propri piccoli.

Per esempio, nella nostra cultura si tende a pensare che i bambini “bravi e indipendenti” siano quelli che si staccano il prima possibile dal seno e dalle braccia della loro mamma, e che già a pochi mesi di vita imparano ad addormentarsi da soli, che dormano tutta la notte, che imparino il prima possibile a usare il vasino.

In realtà, se andiamo a consultare gli studi esistenti sulla fisiologia dei primi mesi di vita potremo facilmente notare come i bisogni irrinunciabili dei bambini siano legati alla ricerca del contatto fisico con chi si prende cura di loro, notte e giorno.

Nel nostro paese le norme culturali e quelle biologiche non sempre coincidono e i pregiudizi legati all’accudimento dei neonati sono tanti.

Quando nasce un bambino molti genitori si sentono raccomandare di non “viziarlo” e i più comuni comportamenti a cui si fa riferimento sono per esempio: tenerlo troppo in braccio, dormire vicino a lui, correre al minimo segnale di richiamo del bimbo, portarlo in fascia oltre che nel passeggino, allattarlo a richiesta, allattare oltre i primi mesi o addirittura anni (si pensi al termine “svezzamento” che letteralmente significa togliere il vezzo, cioè il vizio).

C’è anche chi suggerisce di farlo piangere un po’ così “si allargano i polmoni”, o di utilizzare metodi per farlo dormire da solo come un adulto. Questi metodi sono privi di fondamento scientifico e potenzialmente pericolosi.

Pertanto, dove sta il reale rischio di tali comportamenti? L’esercito di consiglieri che inevitabilmente si materializza intorno ai neogenitori, fornisce queste indicazioni in nome della buona educazione, della presunta conquista di autonomia del bambino attraverso la frustrazione e del diritto alla libertà degli adulti, altrimenti reputati comunemente come schiavi di un piccolo tiranno che disturba e farà fare brutte figure in pubblico.

Queste affermazioni sono prive di fondamento scientifico, ma sono difficili da sradicare, nonostante molti dati e ricerche confermino la fisiologia del “portare”, ossia del contatto corporeo, che i bambini non vengono viziati bensì ascoltati, assecondati nei loro bisogni primari e primordiali.

Le mamme che preferiscono andare controcorrente si sentono spesso “sbagliate”, giudicate dall'esterno per le loro scelte.

Rispettare i bisogni dei bambini non crea il “vizio”

Quando i nostri piccoli si sentono in pericolo e prevale in loro il sistema biologico di allerta, ovvero il bisogno di sicurezza, contatto e protezione, hanno necessità urgente che qualcuno ristabilisca la normalità prendendosi cura di loro.

E questo qualcuno è la mamma: chi li ha tenuti in grembo per 9 mesi, chi li ha messi al mondo, li nutre, chi riconoscono per l’odore, il sapore, la vista, il tatto.

Anche sul pianto dei bambini c’è da riflettere poiché per loro questa è sempre un’ultima scelta e, pertanto, da tenere in opportuna considerazione ogni volta che si presenterà.

Quando smettono di piangere i bimbi non lo fanno perchè sono diventati “autonomi”. Lo fanno perchè sono rassegnati dal fatto che nessuno risponderà. Ci sono evidenze scientifiche che lo dimostrano.

E lo sapete perchè in orfanotrofio nessun bambino piange? Perchè tanto sanno che non risponderà nessuno, perchè sanno che non arriverà la loro figura di riferimento, la mamma, a soddisfare i loro bisogni primari, che esprimono attraverso il pianto.

I bisogni dei bambini, quindi, sono sempre gli stessi, ovunque: bisogno di contatto fisico, di essere accudito, di essere nutrito anche affettivamente, di fidarsi delle proprie sensazioni e della capacità di comunicarle ricevendo adeguata risposta.

Nella nostra cultura si sottovaluta la possibilità che il bimbo sia competente tanto nel sentire che nel comunicare i propri bisogni.

Sembra che i bambini siano “tabule rase” su cui i genitori devono scrivere regole e principi educativi provenienti dall’esterno. Non è corretto dire che i bambini cresciuti rispettando il loro bisogno di contatto non abbiano regole o che siano per questo viziati e maleducati.

Per crescere, regole e limiti sono importanti quanto gli abbracci. Dare valore al contatto e all’educazione affettiva significa dare un nome ai sentimenti e a tutte le emozioni di grandi e piccini con pari dignità e rispetto, anche se, ovviamente, con ruoli diversi.

L’incontro fra generazioni diverse, ovvero fra nonni, genitori e nipoti, porta spesso a conflitti anche intensi che mettono a dura prova i rapporti con le famiglie di origine.

Infatti, molti nonni pensano che i genitori di oggi stiano troppo a contatto coi loro bambini; forse potrà essere utile ricordare che anche per loro potrebbe essere stato difficile seguire i consigli del momento e che adesso sia quasi impossibile accettare un esempio diverso, perché significherebbe rimettere in discussione scelte passate.

Occorre anche fare i conti col fatto che in quegli anni la pubblicità e il boom economico hanno messo in discussione i valori affettivi che stanno alla base di un accudimento basato sul contatto.

I nonni di oggi risentono di un periodo storico in cui non si allattava più di tre mesi perché si pensava che il latte diventasse acqua e possono pertanto stentare a credere che la scienza abbia fatto passi da gigante come effettivamente è avvenuto.

Per questo penso sia necessario rassicurare nonni, papà e mamme che si potrebbero sentire soli e sbagliati solo perché non aderiscono alle norme culturali. 

Il distacco e l’indipendenza nascono dal contatto, dalla sicurezza di essere accolti e ascoltati nel momento del bisogno, e dalla fiducia in chi si prende cura di noi, non il contrario.

Finché le mamme saranno giudicate per le loro scelte soltanto per ragioni ideologiche e non perché valorizzano l’affettività, nella nostra società non coglieremo la grande occasione che ogni bambino nato porta con sé: quella di dare valore a un’educazione degli affetti che accetti il contatto come diritto e normalità biologica dell’essere umano.

Il contatto genera indipendenza. Il bambino chiede vicinanza per crescere bene: tienilo stretto, parlagli, gioca insieme a lui.

Il contatto e la relazione stretta con i genitori nei primi anni di vita lo aiuteranno a diventare più facilmente autonomo e sicuro di sé.

Diamo ai bimbi la certezza di averci sempre accanto e si tufferanno verso il mondo a braccia aperte!

Come assecondare i bisogni del bambino in maniera ottimale per tutta la famiglia

Anche se siamo strenue sostenitrici del “contatto corporeo” accudire un bimbo, soprattutto nei primi tre mesi dopo la nascita, non è affatto semplice e immediato.

A volte è faticoso avere qualcuno che occupa il proprio spazio personale in continuazione, anche fisicamente oltre che psicologicamente.

Tante mamme si sentono “sole” perché quel profondo rapporto che inizia con la gravidanza, che culmina nel parto, e che poi continua dopo la nascita della propria creatura, deve fare i conti con le norme culturali a cui appartengono e con i bisogni fisiologici del proprio bimbo.

La buona notizia è che, progressivamente, i bimbi iniziano ad aprirsi e a osservare il mondo: verso i sei mesi, il bimbo inizia a guardarsi di più in giro e a socializzare maggiormente con il papà, i nonni e persino qualche estraneo, e verso gli otto-nove mesi inizierà veramente a sperimentare il mondo esterno, distaccandosi dalla mamma per brevi periodi (anche fisicamente) per poi tornare alla base sicura all’interno delle sue braccia.

Un metodo che potrebbe aiutare a rendere il bambino più sereno e magari più pronto ad affrontare la vita e a guardarsi intorno, può essere il massaggio infantile vissuto come un momento di contatto profondo.

Per quanto riguarda i supporti in cui far dormire il bambino, molte mamme hanno beneficiato di un marsupio portabebé, un supporto da affibbiare comodamente, ergonomico, che sostiene bene i bambini anche quando si addormentano addosso, lasciando libere le mani della mamma e dando la possibilità di muoversi.

In commercio ne esistono tanti, il nostro consiglio è di utilizzare un marsupio progettato per essere utilizzato dalla nascita e sino ai 3 anni di età.

Dotato di una seduta ampia, in grado di sostenere la corretta posizione a ranocchio e favorire uno sviluppo scheletrico sano del neonato.

Il marsupio TODOGI, grazie alla presenza del sedile anatomico, che scarica il peso anche sulla vita e sulle gambe può essere utilizzato in ben 10 posizioni diverse con sedute adattabili per i più piccoli (sdraiato, frontale, a canguro, ecc), mentre i bambini più grandicelli possono essere portati sulla schiena. Il trasporto posteriore è molto confortevole, soprattutto quando non sono più così leggeri.


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Certamente, arriverà anche il momento in cui entrambi i genitori dovranno recuperare le energie e affidare il loro amato bambino alla culla, almeno per recuperare qualche ora, più che sana e giusta, di individualità.

Abituare il bambino alla culla è un passaggio inevitabile che deve però essere vissuto con molta calma e senza pretese.

Ogni bambino, prima o poi, dovrà imparare a dormire anche nella culla e senza il contatto costante di mamma e papà. Per aiutare questo delicatissimo passaggio, basta tenere ben a mente le necessità del bambino e cioè sentirsi al sicuro, protetto e alla temperatura ideale.

1.Per abituare il bambino gradualmente

Finché il bambino è ancora molto piccolo, usa dei sistemi per farlo sentire più contenuto possibile: esistono diversi riduttori da culla realizzati apposta per abituare gradualmente i neonati a una condizione diversa da quella del grembo materno.

Cocoon di Doomoo è un riduttore accogliente, comodo e sicuro che può essere utilizzato di giorno e per la nanna durante le ore notturne.

Offre uno spazio su misura per il bambino, riducendo gli spazi più grandi come il lettino nei primi mesi di vita. Il riduttore è apribile nella parte inferiore, rendendolo adatto dalla nascita fino a 8 mesi circa.

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Il Nido Per La Nanna di Doomoo è la soluzione migliore per far sì che il vostro bambino riposi confortevolmente sulla schiena, offrendogli la migliore qualità del sonno. Progettato appositamente da un team di specialisti.  Inoltre stimola la digestione e una facile respirazione, previene il rischio di testa piatta e riduce le coliche.

Un oggetto indispensabile per i primi mesi di vita del vostro piccolo.

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2.Co-sleeping per i primi tempi

Abbiamo già parlato dell’importanza del co-sleeping (leggi qui). Per i primi tempi, usa le culle per il co-sleeping.

Si tratta di lettini pensati proprio per essere affiancati al lettone dei genitori durante i primi mesi di vita dei bambini.

Dai un’occhiata alla culla side-by-side di Leander che può essere agganciata alla sponda del lettone e ha un spondina laterale in mesh facilmente abbassabile con una mano.


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A quanti mesi abituare il bambino alla culla?

Abbiamo detto che se un neonato dorme solo in braccio non dobbiamo assolutamente preoccuparci, che questa predisposizione nei bambini appena nati è del tutto fisiologica e naturale, che i genitori devono scegliere individualmente come approcciarsi a questi bisogni e che, almeno per i primissimi mesi di vita, non c’è niente di cui preoccuparsi.

A quanti mesi, quindi, un neonato dovrebbe iniziare ad accettare di dormire da solo nella culla?

Non esistono risposte universali a questa domanda perché ogni bambino è unico e diverso dagli altri.

Di conseguenza, possiamo dire che solitamente intorno ai 6 mesi i bambini dovrebbero iniziare ad accettare qualche ora di sonno anche senza il contatto costante di mamma e papà, ma se ci mettessero qualche mese in più non ci sarebbe davvero niente di strano.

Se sei stanca e ti senti “frustata” ogni tanto, abbi pazienza, il bagaglio di amore che regalerai a suo figlio in questi pochi mesi sarà la base per tutte le esperienze della sua vita: pensa che tutta la tua fatica sta servendo a formare una persona psicologicamente e sentimentalmente sano e sicuro.

Pazientare non significa, però, fare tutto da sole: se potete chiedete aiuto a mariti, compagni, amici, nonni, zii e uscite a prendere una boccata d’aria anche se fuori fa freddo e nevica!

 

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